venerdì 9 maggio 2014

Fact checking sulla libertà di stampa e relativi obiettivi fondanti: << sono i giornali che riflettono la società o essi la "conformano" e ne inducono la struttura? >>



Stampa libera come mezzo per diffondere informazioni e permettere all'eventuale lettore di relazionarsi in modo autonomo con la realtà socio-politico-economica.
Era forse questo l'intento di quei pensatori liberali del XVIII-XIX secolo che individuavano nella libertà di stampa una parte integrante e fondamentale dei diritti individuali?
Normalmente ci si immagina che fosse questo l'obiettivo, e certamente non sarà l'intento del mio articolo quello di demolire tale tesi. Lo scopo ultimo del testo sarà invece quello di argomentare con fatti e citazioni l'ipotesi sempre più incalzante negli ultimi tempi secondo cui il risultato raggiunto non è quello ipotizzato dai precursori e primi idealizzatori del diritto di libera diffusione delle informazioni; si andrà inoltre ad approfondire l'eventuale esistenza di un mondo dell'informazione ideale, quello immaginato dai già citati pensatori liberari del '7-'800.

Il primo mito che andrebbe rivisto in un discorso di questo tipo è quello secondo cui nei luoghi in cui vige un regime democratico di libertà d'informazione le persone siano più informate rispetto alle aree in cui vi sia la censura.
Come si sostengono in tanti (uno dei quali è l'autore di  questo articolo -che però parla di altro- da cui ho preso grande spunto per scrivere) tale tesi risulta falsa o , almeno, non completamente veritiera, esattamente come quella Smithiana (di Adam Smith) della "Mano invisibile del Mercato", secondo cui << se gli operatori del mercato sono liberi di agire secondo il proprio tornaconto, la situazione risultante è quella del benessere diffuso >>;
allo stesso modo, se si "trasla" tale teoria all'interno del mondo dell'informazione, si ottiene la falsità dell "Mano invisibile della Stampa", secondo cui << se ogni giornalista viene lasciato libero di parlare si ottiene una situazione finale in cui tutti dicono la verità e tutti sono informati >>.
Il punto è però che, mentre la falsità della legge economica è visibile solo all'occhio dell'esperto (le mosse degli operatori fanno l'economia; il fatto che la si faccia bene o male è un altro discorso), quella della seconda è apprezzabile da chiunque (le informazioni non sono necessariamente vere, sono semplicemente notizie).
Vi è infatti una situazione reale (non ipotetica o ideale) in cui le notizie sono solo interpretazioni personali del giornalista, per il quale la visione della verità può anche essere influenzata dall'imposizione di determinati standard giornalistici.
La stampa non ha quindi il compito di fornire la verità, ma quello di vendere notizie.




Se, riferendosi alla stampa, si incappa nello stesso problema dei liberisti hayekiani (seguaci di Friedrich von Hayek) che parlano di economia, è facile arrivare alla conclusione per cui gli stessi problemi causati in economia dal libero mercato si ripresentino negli organi di informazione sotto sembianze diverse.
Da qualche tempo ho personalmente elaborato una teoria abbastanza scontata e semplice ma dalle applicazioni non banali: si tratta di una constatazione secondi cui i giornali sono, esattamente come la banche di credito, degli organi endogeni del sistema.
Cioè, così come le banche che erogano credito a imprese e famiglie seguono l'andamento della realtà economica (il "credit crunch" attuale ne è una dimostrazione), i giornali fanno in modo di accompagnare in modo "ciclico" (così come le banche che non possono creare monea per far ripartire l'economia) quello che è il pensiero della massa, non fornendo verità (che non attrarrebbero audience) ma facendo in modo di attrarre lettori o ascoltatori somministrando informazioni talvolta false ma scritte in modo accattivante, << in modo da poter essere lette da un lattaio dell'Ohio >>, diceva Web Miller.
Così la notizia non diventa altro che l'estensione del pensiero del lettore, che ricerca solo quello che vuole leggere; cade così la struttura del pensiero dei liberali '7-'800eschi da cui si è partiti per scrivere l'articolo, perchè è vero che ognuno deve essere libero di informarsi nel modo che crede essere più opportuno per sè, ma è anche vero che così facendo si sviluppa un mondo dell'informazione distorto e polarizzato, che non serve per informare il cittadino, ma per rafforzare le sue convinzioni.
Per esempio, sui giornali italiani si vedono spesso specificate le nazionalità di ladri e altri piccoli delinquenti stranieri, in modo da compiacere ed aumentare i sentimenti xenofobi di ambienti di "destra" (la destra è altro); oppure sui giornali "de sinistra" (la sinistra è altro) si leggono spesso notizie di giornalisti favorevoli al liberismo economico, che scrivono per soddisfare la fame di internazionalismo dei lettori, ignari del fatto che la libera circolazione dei capitali non ha nulla a che fare con il cosmopolitismo delle persone (<< in politica fare i morali è da ingenui >>).
Inoltre se anche fosse accertata l'esistenza della "Mano invisibile della Stampa", essa avrebbe la sola capacità di portare a galla la "migliore notizia", non i migliori fatti, che resterebbero quindi sommersi nell'oblio del dimenticatoio.
Anche qui, però, sorge un problema granitico e apparentemente insormontabile: qual è la "migliore" notizia possibile? Se la stampa si marginalizzasse alla sola descrizione della verità a cosa servirebbero tanti giornali? Dal momento che il fatto è uno ne basterebbe uno, di giornale; così facendo, però, verrebbe meno la libertà di stampa.


Per risolvere la questione bisogna introdurre nel discorso l'eventualità, già annunciata a inizio lavoro, dell'esistenza di un mondo dell'informazione ideale: parafrasando il signor Luciano Barra Caracciolo (giurista, costituzionalista e predente della V sezione del Consiglio di Stato) << Le istituzioni riflettono la società o esse "conformano" la società e ne inducono la struttura? In Democrazia, la risposta dovrebbe essere la prima. Ma c'è sempre il rischio della seconda [...] >>.

"Traslando" questa citazione nell'ambito giornalistico, sostituendo cioè la parola "istituzioni" con la parola "giornali", si ottengono due possibili opzioni: la prima è l'ipotesi ideale e auspicabile, mentre la seconda è quella marcia dell'attuale sistema dell'Informazione.Ad una prima lettura della mia "traslazione" delle parole di Caracciolo può sembrare che la soluzione auspicabile diverga rispetto a quella che può essere estrapolata dal discorso fatto da me in precedenza, per le due ipotesi possono essere conciliate: la parafrasi della citazione vuole che, nello Stato democratico di Diritto, i giornali si adattino alla forma del pensiero "comune" (della maggioranza), mentre, parecchie righe più su, io scrissi che uno dei maggiori problemi degli attuali organi di stampa è quello di dare ai lettori ciò che vogliono, senza portare critiche al pensiero che lo stesso Caracciolo definirebbe "POP" (della maggioranza); la conciliazione la si ha nel momento in cui si rompe il meccanismo "ciclico" dei giornali che cercano di adattarsi al pensiero "mainstream" (della maggioranza) e si innesca invece uno "shock anticiclico" che parte dai cittadini (una volta che si sono resi conto di cosa sia un'Informazione competente e imparziale) e che forza il mondo dell'Informazione ad adattarsi al nuovo modello di società critica e capace di una rielaborazione personale delle nozioni apprese dalla lettura o visione di un giornale o telegiornale.

Per concludere, è ovvio che l'obiettivo di chi per primo desiderava una stampa libera non è stato raggiunto o, almeno, lo è stato in parte.
Non per questo, però, bisogna negare l'assoluta necessità di una libera Informazione, che dovrebbe, comunque, essere accompagnata anche da una comprensione critica da parte del lettore.
Il metodo cinese o quello applicato durante il fascismo di censura e limitazione del percorso dell'Informazione è assolutamente deprecabile e asimmetrico rispetto ai valori sanciti più volte da numerose Costituzione nazionali e Trattati sovranazionali che incarnano lo spirito che sta alla base del vivere comune e del benessere del singolo inserito in una collettività.

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